L’Italia che conosciamo non è solo l’Italia della crisi economica, della disaffezione politica, della criticità democratica. Ma è anche il fermento del fenomeno associativo, del volontariato, dell’altruismo solidale, dell’autorganizzazione civile e sociale.
E noi sappiamo che questa Italia è la nostra Italia, e noi sappiamo che questo patrimonio ci appartiene, e sappiamo anche che è un valore, una ricchezza da tutelare e potenziare. Non c’è niente di più vero e genuino di una associazione che si forma, e opera, per promuovere la difesa dei diritti, la cura delle emergenze, la buona ricreazione o semplicemente per aiutare i cittadini in contingente difficoltà.
Non credo opportuno parlare alla Prociv del rapporto fra cittadini e territorio, della relazione fra ambiente e pianificazione, delle misure degli investimenti, della ricerca, della prevenzione, lo farete con molta cognizione di causa nel vostro dibattito. Un riflessione però voglio condividere con voi, un ragionamento che riguarda l’Arci e quindi anche la vostra associazione.
Alla Prociv va riconosciuto il merito di essere anello indispensabile che congiunge le emergenze e le risposte immediate, quell’anello che risolve, se pure momentaneamente, l’inconsistenza politica della prevenzione e la rabbia da abbandono delle popolazioni. La Prociv Arci è, insomma, ormai, un utile “ammortizzatore” civile, che riporta credibilità nelle facoltà umane di promuovere organizzazione e risposte adatte ad eventi distruttivi. La Prociv è una “supplenza” vitale.
Credo che parlare di solidarietà sia importante, e voi la incarnate nelle vostre attività quotidiane, ma vorrei aggiungere che nel vostro caso sia un modo riduttivo di inquadrare l’opera e la presenza dell’associazione.
In un tempo fatto di bisogni impellenti, è fondamentale la percezione di non essere abbandonati, di non essere soli ad affrontare disagi e dolori. Perciò il valore dell’aiuto concreto che riuscite a portare, cibo, riparo, riferimento logistico funzionale, è solo la parte evidente del vostro lavoro, ma altrettanto fondamentale è la risorsa “immateriale” che rappresentate, per il patrimonio di umanità che vi lega alla vostra missione.
Ed è proprio per questa caratteristica che vorrei azzardare un parallelo con la mia Arci.
La Prociv e i Circoli Arci, hanno l’affinità comune del desiderio di non far sentire “soli” gli individui. Nel vostro caso nella disperazione contingente di un evento distruttivo, nel nostro caso nella quotidiana solitudine umana da disgregazione sociale e comunitaria.
Io penso perciò che sarebbe di enorme utilità, sia per l’Arci che per la Prociv, che la consapevolezza dell’utilità della nostra opera fosse congiunta in una collaborazione strutturata e continuativa. Magari attivando spazi di comunicazione ricorrente, di progettualità e di interventi sul territorio. Anche perché il comune riferimento al marchio Arci deve in qualche modo risolversi con particolare attenzione agli ultimi, a chi è continuamente in credito di diritti. Ecco perché, da dirigente Arci, vorrei proporre di incontrarci per pensare, progettare e sperimentare momenti di collaborazione, anche minimale, tanto per iniziare, anche solo per dichiarare il nostro comune bagaglio politico, fatto di cultura e di rivendicazione popolare condivisa.
Potremmo pensare di coinvolgere l’Arci, i circoli, nelle proposte di sensibilizzazione del vostro volontariato, promuovendo la cultura dell’altruismo civico, di mutuo soccorso concreto, di formazione del volontariato operativo di protezione civile all’interno del circuito del nostro associazionismo. Nello stesso tempo, la Prociv nei circoli per realizzare osservatori, contesti di cittadinanza attiva e propositiva, di organizzazione per l’autoprotezione e per una efficace educazione alla prevenzione rispetto ad eventi che, voi insegnate, potrebbero essere ridimensionati con atteggiamenti e comportamenti quotidiani più responsabili da parte di tutti.
Insomma, amici e compagni, se la nostra vocazione di volontari si differenzia in specifici interessi, la nostra comune appartenenza ad un marchio che trasmette valori popolari derivati dal mondo del lavoro, ci deve indirizzare verso un impegno collaborativo adeguato. Per realizzare nuovi e più ricchi concetti di comunità solidale, e per coinvolgere i cittadini in momenti di autogratificazione operativa, magari in un contesto di aggregazione sociale che renda più sereni, anche più felici.
Stiamo vivendo nel vortice di una recessione che non ha precedenti né, secondo me, prospettive.
Poco disposti a rinunciare ai consumi cui siamo abituati, ad impoverirci. Sottoposti a involuzioni di egoismi diffusi, di solitudini aggressive. Siamo tutti più incarogniti da quello che io definirei “odio di vicinato”, quel sentimento negativo che coviamo verso il nostro prossimo, come se la nostra vita, il nostro benessere, lo dovessimo difendere in concorrenza spietata con il nostro simile. Guerra fra poveri, qualcuno la definisce. Disgregazione sociale e civile, io dico, che sta distruggendo ogni forma di autosostegno sociale e ogni luogo di sindacalismo, di percorsi condivisi di emancipazione politica, che sta distruggendo comuni visioni di futuro, il senso di appartenenza e dell’unione.
L’unica rivoluzione possibile, per salvarci, non può non riguardare una straordinaria modifica delle nostre modalità di vivere, delle nostre abitudini. Nuovi stili di vita, nuovi concetti di benessere. Il prevalere degli stati d’animo positivi, appaganti, le prerogative dell’amicizia, della socialità, della condivisione del tempo e delle passioni: ecco l’unica rivoluzione possibile in antitesi all’odio vicinale, alla competizione fra poveri, all’incarognimento generalizzato. Solo una rivoluzione che rimetta al centro la persona e i suoi istinti amicali, solidali, fraterni, può ridisegnare rapporti sempre più corrotti dal mito dell’agonismo, della rivalità che si fa lotta per sopravvivere in ossequio all’unico valore dominante, quello della ricchezza, della capacità di spesa, come indice di prestigio sociale e di buona vita.
Alla rappresentazione del mondo del consumo e dello spreco, della sua riproduzione in atteggiamenti alienati, incattiviti, egoistici, noi sappiamo opporre una cultura fatta di collaborazione, di confronto, di creatività, di soggettività affettuosa, di concordia e di sobrietà. Noi abbiamo non solo la storia della mutualità organizzata, noi abbiamo la radice nei valori della libertà, nell’ideale di uguaglianza, nella priorità del rispetto degli ultimi, degli offesi, degli sfruttati.
A noi spetta rimettere in moto il percorso di salvezza e di riscatto. A noi spetta coltivare la speranza per un nuovo sviluppo che si basi sulla evoluzione paritaria dei diritti in tutto il pianeta.
Ci salveremo se continueremo a credere nella nostra missione, in ciò che facciamo quotidianamente. Ci salveremo se non verrà meno la speranza costruita sull’assunto che un mondo migliore è possibile, e che spetta a noi testimoniarlo, instancabili e determinati.
FOTO: il sindaco di Certaldo Andrea Campinoti nel suo intervento al Congresso nazionale dell'Associazione Prociv-Arci
|