Una Volontaria del Banco Alimentare nella campagna cittadina di sostegno alla promozione dell’attività della Onlus.
Le 8.989 strutture caritative ritirano gratuitamente le derrate alimentari presso i magazzini del Banco Alimentare e, nel contesto della Siticibo dalle mense scolastiche, aziendali, ospedaliere, i cibi pronti non utilizzati vengono recuperati e distribuiti in giornata.
Famiglie con bambini, disoccupati, pensionati, padri separati: tante le persone che non hanno soldi per mangiare.
Le arance: un’occasione preziosa per Banco Alimentare. I volontari le raccolgono per donarle a chi è povero..Volontari nei magazzini del Banco Alimentare controllano, separano, preparano, confezionano, stoccano gli alimenti recuperati preparandoli per le strutture caritative (pag 4).
Rischio carestia: cresce il numero delle persone che chiedono aiuto e i magazzini di Banco Alimentare si svuotano più velocemente di quanto non si riempiano.
Papa Bergoglio si rivolge a tutti per "dare voce a tutte le persone che soffrono silenziosamente la fame, affinché questa voce diventi un ruggito in grado di scuotere il mondo". La campagna della Caritas Internationalis "vuole anche essere un invito a tutti noi a diventare più consapevoli delle nostre scelte alimentari, che spesso comportano lo spreco di cibo e il cattivo uso delle risorse.
Ed è proprio in questo problema che affligge con numeri incredibili la povertà in tutto il pianeta che il Banco Alimentare sin dal 1989 ha messo in atto la sua piccola ma capillare ed efficace opera di sostegno verso i meno abbienti del Paese. L’articolo che segue ne illustra le attività con le foto che sono anche a margine di questa pagina mentre, del professor emerito Giorgio Nebbia dell’Università di Bari, sono le riflessioni scientifiche di questo dramma quotidiano che si snoda sempre più su scala mondiale.
Lo scandalo della fame, per rifarsi proprio alla parola del Papa, colpisce 2 miliardi di esseri umani in Asia, Africa, Sud America. Il quel nuovo “terzo mondo” che continua a essere povero, in gran parte poverissimo, afflitto da malattie, mancanza di abitazioni decenti, di elettricità, di gabinetti, fognature e acqua pulita. Eppure sono proprio gli abitanti di questo “terzo mondo” che producono molte delle derrate agricole per le opulenti le mense dei 2 miliardi di abitanti del “primo mondo” e forniscono il cibo agli altri 3 miliardi di abitanti dei paesi emergenti di un “secondo mondo” – Cina, India, Brasile, Sud est asiatico – sempre più avidi di benessere anche alimentare.
Oltre la metà del fabbisogno alimentare degli esseri umani è ottenuto dai cereali – grano, mais, riso e cereali “minori” come orzo, avena, miglio – la cui produzione mondiale nel 2012 è stata di circa 2500 milioni di tonnellate, corrispondenti a circa 350 chili all’anno a testa. Il “contenuto” energetico e proteico dei cereali disponibili per persona ogni anno, “sembrerebbe” circa una volta e mezzo superiore al fabbisogno alimentare medio. “Sembrerebbe”, perché nella distribuzione di tali alimenti esistono insostenibili differenze.
Ogni abitante degli Stati Uniti e dell’Europa “consuma”, in media, circa 1000 chili di cereali all’anno, di cui circa 300 chili come alimenti diretti – pane, pasta, dolciumi, eccetera – e circa 700 kg per l’alimentazione del bestiame che fornisce carne, uova, latte e latticini, alimenti che possiedono le proteine di buona qualità necessarie per integrare le proteine vegetali che sono biologicamente “più povere”: però un chilo di carne “costa” – richiede per l’alimentazione dell’animale da macellare – circa 10 chili di cereali.
Ogni abitante dei paesi africani e asiatici poveri ha a disposizione in media duecento chili di cereali, tutti utilizzati per il consumo diretto, in molti casi appena sufficienti per la sopravvivenza. La situazione però è ancora più grave. Nei paesi arretrati una parte dei cereali va perduta per l’attacco dei parassiti, per la mancanza di sistemi di conservazione e immagazzinamento. Inoltre ormai circa il 15 per cento della produzione mondiale di cereali è destinata alla produzione di alcol etilico carburante (il cosiddetto bioetanolo), in sostituzione della benzina, al punto da far dire che i paesi industriali tolgono il mais di bocca ai contadini poveri sudamericani per far correre i rombanti Suv.
Le grandi industrie chimiche propongono come soluzione l’impiego di sementi geneticamente modificate (Ogm) che assicurano grandi profitti a poche multinazionali e promettono più abbondanti raccolti e migliori difese contro l’attacco dei parassiti. A parte considerazioni di sicurezza biologica per i consumatori e di privilegi monopolistici, non è detto affatto che la lotta alla fame passi attraverso questa soluzione; anche le promesse, anni fa, della “rivoluzione verde”, basata su sementi ad alta produzione per ettaro, non sono state mantenute. E non ci si può neanche illudere che possa aumentare di molto la produzione agricola perché più si produce da ogni unità di superficie del terreno, più il terreno stesso viene impoverito delle sostanze nutritive (potassio, azoto, fosforo) delle piante per cui nuove coltivazioni richiedono crescenti aggiunte di concimi.
Probabilmente la salvezza va cercata, da una parte, in una revisione dei consumi dei paesi ricchi, in una “guerra allo spreco”, di cui parla, inascoltato, il Papa; dall’altra parte in un grande sforzo di ricerca tecnico-scientifica che aiuti i paesi emergenti a utilizzare meglio e a valorizzare le risorse agricole locali. Molti prodotti alimentari utilizzati per secoli nel Sud del mondo sono stati abbandonati per aderire alle mode di consumi esportate dai paesi industrializzati; molti prodotti agricoli dell’Africa e dell’America latina potrebbero essere meglio conservati, protetti dai parassiti, coltivati al posto delle monocolture che sono state imposte dal Nord industriale. Una chimica, biologia e ingegneria dell’amore per il prossimo, della solidarietà per coloro che hanno fame.
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