La metafora del "pugno” Papa Francesco l’ha garbatamente utilizzata in aereo durante il suo recente viaggio verso Manila quando, rispondendo a domande dei giornalisti, si è soffermato con un inviato francese sui dolorosi fatti della tragedia al Charlie Hebdo.
Il Papa ha approfittato di avere al suo fianco un suo "caro amico" il "dottor Gasbarri", l'organizzatore dei viaggi papali. La famosa metafora Francesco l'ha dunque usata verso l’amico dicendo che lui il pugno se lo potrebbe anche aspettare se "dice una parolaccia contro la mia mamma". "Non si può provocare, insultare, ridicolizzare la fede degli altri" - ha detto - "non si uccide in nome di Dio", "non si offende la religione degli altri", ha proseguito, pur riconoscendo ad "ognuno non solo la libertà o il diritto ma anche l'obbligo di dire quello che pensa se ritiene che aiuti il bene comune".
Ancor più sottolineando che "non si uccide in nome di Dio" , Papa Bergoglio ha aggiunto che "i kamikaze danno la propria vita ma non la danno bene". "Ognuno - ha detto - ha il diritto di praticare la propria religione, senza offendere, liberamente". "Non si può offendere o fare la guerra, uccidere in nome della religione, cioè in nome di Dio". Per Papa Bergoglio, "la libertà di religione e la libertà di espressione sono tutti e due diritti umani fondamentali".
Il secondo viaggio apostolico del Papa, che il mese scorso è andato in Asia, nello Sri Lanka e nelle Filippine, si è dunque tradotto in un paradigma universale. Dialogo interreligioso nello Sri Lanka (dove cattolici e cristiani sono un’esigua minoranza), dove Francesco è stato accolto con balli e canti da una folla entusiasta e nelle folcloristiche fogge locali, le corolle di fiori, il flash mob . Il Papa è entrato scalzo in un Tempio buddista, un’ampia stola come gli altri leader religiosi, e ha proclamato Santo Juse Vaz e altri missionari "Testimoni della fede", dato che hanno esaltato la dignità della persona umana oltre la povertà, oltre la schiavitù. Uno stile di vita sufficiente a riconoscere la santità, senza bisogno di miracoli.
La sua preghiera si è rinnovata nel Santuario Mariano di Madhu. C’erano tutti: cingalesi, buddisti, induisti, mussulmani, tante le autorità politiche, il Presidente che ha perso le elezioni e il suo successore, i membri del Governo, gli esponenti politici. .
Altro paradigma di fede ancora nelle Filippine, dove i cattolici sono stragrande maggioranza (l’82 per cento): un popolo che ha sofferto e soffre non solo per le calamità naturali ma anche per le lotte e i dissidi interni e che ciclicamente si ripresentano; la povertà nel Paese è endemica, la ricchezza in mano a poche famiglie, un popolo al quale Francesco ha affidato il compito Missionario a conclusione della Santa Messa a Manila al Rizal Park. Davanti a Francesco uno spazio sterminato a più corsie, una folla di 7 milioni di fedeli accorsi da ogni dove, con ogni mezzo, su quelle jeep che sono mezzi pubblici e sui quali il Papa, con un simbolismo mediatico, non ha esitato a salirvi e scendervi, per salutare dall’uno all’altro lato.
Per vederlo, osannarlo, in tanti si sono mossi a piedi, sotto la pioggia, fin dalla notte, coperti da cerate, da impermeabili gialli che anche Francesco indossa per essere quanto più vicino a loro, uguale a loro. Una Messa che è stato un record assoluto. Uno spettacolo mai visto. Ma non è il numero che conta. Esso è lontano dalla sua mente , così come di ogni credente, ogni tentazione di inutile trionfalismo. Quello che è stato il valore della visita è stata la fede, la grande empatia che ha trasmesso alla gente.
Quel trasporto di Papa Francesco verso i poveri, gli umili, i malati, i bambini. Soprattutto i bambini. E’ impressionante il numero dei bambini che fanno delle Filippine un Paese giovane. Ma i bambini spesso abbandonati a se stessi, vivono anche buttati in mezzo alla strada per esser sfruttati sotto ogni punto di vista.
Quanta tenerezza nella quattordicenne Gyzelle che voleva chiedere: “Perché Dio permette che i bambini vengano abusati sessualmente, sfruttati, maltrattati” ?, ma non ci è riuscita perché il pianto le ha soffocato la voce e rigato il volto, che ha riacquistato tutta l’innocenza adolescenziale. Il ragazzo che le stava accanto, il coetaneo Jun, a fatica è riuscito a descrivere l’inferno, l’abisso nel quale i minori cadono. Loro sono stati salvati dalla Fondazione cattolica “Tnk”, fondata da un gesuita francese. Francesco accoglie i due ragazzini che sono passati dall’inferno al paradiso, ora studiano, sognano e vogliono aiutare gli altri. Il Papa allarga le braccia, li stringe sé, come un padre. Ancora una volta, in queste giornate così dense, Francesco ha allontanato i fogli col discorso scritto per parlare a braccio. “Come, e più di ogni altra volta, il cuore gli detta."
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