Il responsabile della comunicazione nelle emergenze del Dipartimento dei Vigili del Fuoco, Luca Cari, racconta emozioni di donne e uomini in divisa che, strenuamente e spesso senza sosta alcuna, nelle tragedie che esplodono anche per un nonnulla o nelle calamità naturali, offrono tutta la loro abnegazione nei soccorsi a tante vite in pericolo
Raccontare un ‘mestiere micidiale’ come quello del pompiere in un romanzo figlio della cronaca è la scommessa tentata e vinta da Luca Cari, responsabile del Dipartimento "Comunicazione in emergenza" del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. Il libro è la seconda prova narrativa dell’autore, dopo quello dedicato anni fa alla tragedia della Concordia all'isola del Giglio, dal titolo “Mai più Concordia”.
In questo nuovo romanzo, centrato sulla vita dei pompieri, l'autore narra la storia del protagonista, Lelio, capo della squadra 9C, “soldato sempre in guerra” contro i molti nemici che il destino, con in più la colpevole approssimazione dell’uomo, gli frappongono quotidianamente: in una sua pericolosa avventura di lavoro resta intrappolato in un appartamento divorato dalle fiamme e ripercorre in un doloroso flashback alcuni degli interventi di una vita in prima linea: la richiesta disperata di aiuto di una giovane incastrata tra le lamiere dell’auto, il gemito della bimba strappata ad un pozzo di campagna, l’urlo della donna sepolta dal fango ma anche, e soprattutto, i tanti individui consumati dal fuoco, schiacciati dalle macerie, travolti dall’acqua. Il diventare «sensibili al dolore del proprio lavoro» è un lusso che un vigile del fuoco non si può permettere, un pericolo che lo indebolisce nella sua azione, ma la verità è che le fiamme, i veleni, i crolli, le alluvioni e i terremoti non solo divorano vite e fanno scempio di corpi ma, giorno dopo giorno, si prendono pure pezzetti d’anima di chi cerca di sbarrar loro la strada, incrinano certezze e suscitano domande per le quali non esiste risposta. “Non è vero che si diventa indifferenti, che ci si abitua al dolore», assicura Cari. E il suo ‘Lelio’ ne è la prova, perché alla tragedia delle molte vite che, suo malgrado, non riesce a salvare - da qui il grido disperato e rabbioso che dà il titolo al libro - si intreccia un dramma personale che lo spinge a una scelta estrema di cui non si sarebbe mai creduto capace.
è questa una frase rivelatrice, forse addirittura un riassunto in due righe della lunga serie di storie che si intrecciano nella narrazione. Lelio, caposquadra dei vigili del fuoco, è proprio un soldato sempre in guerra.
I suoi nemici si chiamano fiamme, fumo, acqua, fango, macerie, esplosioni, terremoti, cianuro che si sprigiona dall’imbottitura di un divano che brucia, vapori velenosi, edifici pericolanti, tetti e pareti che crollano, schiacciano, imprigionano.
Le sue armi sono l’ascia, l'idrante, il piccone, il divaricatore, le cesoie, il cuscino vetter (un potente sollevatore pesi ad aria compressa per liberare, ad esempio, persone incastrate sotto automobili, alberi, travi), la bombola d’ossigeno.
Come ogni guerriero, Lelio brucia la sua vita al massimo, una lotta quotidiana sincopata solo da brevi pause, adrenalina al galoppo, terrore puro, abnegazione assoluta. Vita e morte in un attimo, la sua e quella degli altri.
Difficile trovare una definizione che possa essere piu pertinente per quest’opera: dalla prefazione di Massimo Lugli, di Repubblica, si evince che essa non è solo un romanzo, ma anche una raccolta di racconti mai slegati ma tenuti insieme da un filo conduttore, quello che nella tecnica della sceneggiatura televisiva si definisce "linea gialla", una storia nella storia che si sviluppa all’inizio e si chiude nel modo più drammatico nelle ultime pagine.
Antieroe noir per eccellenza, umbratile, ondivago, angosciato, tormentato, Lelio si abbandona, occasionalmente, a scatti di violenza che mettono in pericolo non solo lui, protagonista, ma anche qualcuno dei suoi colleghi che, ogni giorno, affrontano i rischi con lui, fianco a fianco. L’uno sostiene, o si fa forza con l’altro. E uno degli elementi più forti di queste pagine è proprio l’amicizia fraterna, il legame indistruttibile, inviolabile, di chi fa un lavoro estremo come quello del pompiere. Un’armonia che non si può incrinare, la stessa dei massicci protagonisti delle falangi spartane che combattevano all’unisono, scontri all’arma bianca dove la forza fisica era elemento centrale: il crollo di un singolo poteva diventare catastrofe per tutti. Tutti marciano con sincronia, il passo è studiato e non deve essere concitato e il coraggio temerario di un "mangiafuoco" può essere più pericoloso di una trave che ti si schianta addosso. E quando la tensione è troppo alta, quando nella vita di Lelio irrompe un terribile dramma privato destinato a finire nel sangue, i rapporti, all’interno della squadra 9-C, inevitabilmente, ne risentono, l’amicizia va in crisi, gli individualismi emergono, gli interventi diventano meno coordinati, meno precisi.
Ma la sorpresa di questo libro non è tanto nella descrizione, efficace fino allo spasimo, di autopompe lanciate a sirena spiegata, bambini imprigionati con le gambe spezzate, operai che soffocano all’interno di una betoniera o elettrizzanti corse per la vita. Per quello basta l’esperienza personale di Luca Cari. L’elemento più forte è la scrittura.
Con forte determinazione narrativa, l’autore inchioda il lettore al testo con un ritmo affascinante e un’efficacia linguistica secca, nervosa, non eccessiva, non esagerata. In questo senso il libro si distingue nettamente da altri testi, più o meno autobiografici, o autoreferenziali di tanti membri delle forze dell’ordine che si alternano nelle librerie. Luca Cari sa raccontare e lo fa con maestria, senza alcun bisogno di continui riferimenti alla realtà brutale della cronaca, anzi, trasferisce le sue storie in un limbo impercettibile, in un mondo fatto di emozione dove non c’è bisogno di nomi o di date.
Certo, molti lettori riconosceranno episodi che hanno visto per giorni in televisione o sui giornali ma l’intento di Cari è lontanissimo da quello di svelare retroscena o particolari di fattacci recenti o lontani come un crollo di una basilica Sacra nota a tutti, o l’incendio di uno stabilimento per l’olio in Umbria. Quello che conta, per lui sono le sensazioni indescrivibili di chi affronta la morte ogni giorno, la gioia selvaggia di salvare una vita, la rabbia, la delusione, lo sconforto del fallimento. È proprio questo, l’impotenza disperata che si prova di fronte a uno sguardo che si vela per sempre, a un cuore che smette di battere nonostante i disperati tentativi della rianimazione, che costringe il protagonista pompiere ad alzare i pugni al cielo nell’invocazione rabbiosa e disperata che dà l’efficacissimo titolo a questo libro, forte e indimenticabile: "Non sono Dio".
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