Il “dono” del volontariato
La figura del volontario è antica, tanto quanto la stessa storia dell’uomo. Può rappresentarsi come la “controfigura” genuina del genere umano, naturalmente predisposto alla sopravvivenza, alla sopraffazione e all’egoismo (o quanto meno all’indifferenza). Eppure la storia, soprattutto quella contemporanea, ci offre innumerevoli esempi di esperienze legate al volontariato, dalle prime associazioni di mutuo soccorso di fine ’800, fino alle organizzazioni più “strutturate” che hanno preso piede dal secondo dopoguerra in poi.
Tuttavia, proprio ora che il genere umano si è maggiormente “evoluto”, lo spirito della solidarietà sembra aver subìto un duro contraccolpo. La scelta del volontariato diviene sempre più una scelta “per pochi”. Una scelta il più delle volte “incompresa” dalla maggioranza delle persone, sicuramente apprezzata, soprattutto in occasione delle grandi emergenze, ma comunque percepita come “distante” dai problemi e dai ritmi della vita di tutti i giorni. Tanto che la domanda più frequente che viene posta a un volontario è: “Ma chi te lo fa fare”?
Non poteva scegliere un titolo più indovinato Giuseppe Mele, coordinatore della Protezione Civile “Colli Morenici”, autore del libro “Ma chi me lo fa fare? Racconti di un volontario (inesperto) di Protezione Civile” (StreetLib, 2024). Un libro semplice, fatto di storie e di persone semplici, che non si abbandona mai a facili eroismi; un libro che spiega molto bene l’essenza di una scelta sempre più difficile da comprendere. Con la stessa semplicità, ha scelto di rispondere alle nostre domande.
Nella prefazione del suo libro ha definito il mondo del volontariato, almeno nel suo campo, come un “porto di mare”, dove la gente va e viene: chi sono coloro che rimangono?
Ho definito il volontariato come un “porto di mare” dove la gente entra, esce e a volte ritorna. Ogni soggetto che si approccia a tale mondo vive una esperienza dinamica come tutte quelle che fanno parte del ciclo di vita e pertanto c’è sempre un inizio, un percorso e una conclusione che inevitabilmente arriva per mille motivazioni (nuove aspettative, esigenze familiari o lavorative, età anagrafica, problemi fisici, ecc.). Per rispondere alla domanda posso dire che paradossalmente tutti rimangono, ciò che cambia è solo la durata della permanenza che, lunga o breve che sia, lascia sempre un segno indelebile nel bagaglio di vita di chi ha percorso tale cammino.
Si può parlare di “vocazione” nella scelta del volontariato o siamo tutti “potenzialmente” dei possibili volontari?
Questa è una domanda che mi viene posta frequentemente: senza ombra di dubbio siamo tutti potenzialmente volontari! Ci sono mille modi di dare una mano a chi ne ha bisogno. Posso portare l’esempio dell’esperienza che vivo in Protezione Civile: ci sono attività più tecniche in cui vengono utilizzate particolari attrezzature che possono richiedere una certa manualità, attitudine o sforzo fisico (e che comunque con l’addestramento costante possono essere alla portata di tutti), ma come dico sempre a chi mi pone la domanda, in un contesto emergenziale diventa fondamentale anche la signora settantenne che prepara i panini per i volontari che andranno ad operare sul campo. Con questo voglio dire che non esistono limiti per mettersi a disposizione del prossimo.
Nell’elencare le tipologie dei volontari, ne ha distinte alcune categorie (il “silenzioso ostile”, “l’antileader” e il “conflittuale-distruttivo”) che si pongono in antitesi con lo spirito di gruppo dei volontari. Può spiegarci meglio?
La risposta si può dire che è insita nella domanda. Quando si parla di un gruppo di volontari, parliamo di…
di Matteo Picconi
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