Il Paese dell’acqua

Siccità canaglia

 

In questa torrida estate 2022 – la più arida di sempre, secondo il CNR – c’è chi si cimenta con cifre sibilline e chi, in virtù di questi dati, millanta soluzioni facili per risolvere il problema. Se gli italiani consumano quasi 250 litri di acqua al giorno, per qualcuno il problema è presto risolto: non lavarsi, non tirare lo sciacquone, non cambiarsi le mutande se non quando strettamente necessario.
Il preziosissimo mare che bagna gran parte della nostra Penisola potrebbe essere desalinizzato e utilizzato per altri scopi, suggeriscono altri, dimenticando – o ignorando – gli altissimi costi di un processo non propriamente green.
Di questo passo, il quadro idrico italiano che si viene a delineare è nefasto: in Italia non c’è acqua e con quella poca che ci rimane non andremo avanti a lungo.

Acque d’Italia

Lo scorso giugno, nella fase più critica dell’approvvigionamento idrico del nostro Paese, è uscito il libro Acque d’Italia, di Erasmo De Angelis, già sottosegretario del Governo Letta con delega anche alle dighe e infrastrutture idriche, ideatore e coordinatore di Italiasicura, la struttura di missione di Palazzo Chigi per il contrasto al dissesto idrogeologico e lo sviluppo delle infrastrutture idriche, oggi nelle vesti di Segretario Generale dell’Autorità di bacino dell’Italia Centrale. Un libro che non solo smentisce chi vorrebbe dipingere il nostro Paese come una terra arida e in secca, ma che offre soluzioni semplici, impegnative, certamente, ma di una intuitività lampante.

Se l’Italia è il “paese del sole”, lo è certamente anche dell’acqua e della pioggia, in particolare, come da nessun’altra parte in Europa, come in pochi altri posti al mondo. La conferma è nella serie di rilevazioni storiche che dal 1951, vengono registrate dalla Conferenza nazionale delle Acque. La cosa sorprendente, è che nel periodo 2010-2020, rilevata da CNR, ISPRA e ISTAT, ha raggiunto il picco nel 2019, con 328 miliardi di metri cubi di pioggia all’anno «La nostra altezza pluviometrica media delle precipitazioni raggiunge quasi 1000 mm l’anno, e questo dato è superiore alla stragrande maggioranza dei paesi della Terra e alla media europea ferma a 646 mm» (Così De Angelis intervistato da AGI).

I dati dicono che a Roma piovono ogni anno 800 mm di pioggia, a Londra 760, anche se nell’immaginario collettivo è l’Inghilterra il paese delle piogge. Abbiamo più corsi d’acqua di qualsiasi altro paese europeo, 7596, di cui 1242 sono fiumi, oltre 340 laghi.

Paludi, pantani, acquitrini, stagni, terreni umidi con acque basse e stagnanti, foreste galleggianti, ecosistemi saturi di acqua e di biodiversità. Era questo, un tempo, il nostro ecosistema interno e costiero, modificato dal lavoro millenario di agricoltori e bonificatori. Come in nessun altro pese, dietro la maggior parte dei paesaggi da cartolina, si cela un lungo processo di artificializzazione, con trasformazioni radicali degli assetti originali. Allora serviva prosciugare per avere terre coltivabili, ora non c’è questa esigenza. Oggi sarebbe un crimine ecologico prosciugare e bonificare le ultime aree umide e fortunatamente sono tutelate e la legislazione impone la conservazione delle 65 aree con complessivi 82331 ettari.

Il paradosso italiano

Tutti i nostri corsi d’acqua, di cui oggi la gran parte sono in secca, alcuni addirittura polvere, «hanno un carattere torrentizio, non fluviale come sono i grandi fiumi europei, che sono lunghi oltre mille chilometri, larghi che sembrano enormi laghi» (Così De Angelis intervistato da AGI). Ma in Italia se c’è pioggia hanno acqua, se non c’è vanno in secca subito. Infatti rischiamo le alluvioni proprio perchéé d’improvviso non ce la fanno ad assorbire l’acqua. Il grande paradosso, tutto italiano, è che siamo ricchi di acqua, ma poverissimi di infrastrutture idriche.

I grandi investimenti italiani negli schemi idrici si sono fermati negli anni ’60 dal Novecento. E da lì in poi, trent’anni dopo, lo Stato ha cancellato di fatto, dai fondi pubblici, tutte le risorse per il bene pubblico e non sono state più costruite né dighe né invasi. Abbiamo 526 grandi dighe più circa 20 mila piccoli invasi, immagazziniamo – oggi – più o meno l’11,3% dell’acqua piovana in questi contenitori. Cinquant’anni fa se ne immagazzinava circa il 15%, perché nel frattempo non essendoci manutenzione «i sedimenti mano a mano si accumulano e lo spazio per lacqua si riduce, il risultato è che abbiamo queste grandi dighe che non vengono ripulite perciò riescono a stoccare sempre meno acqua» (Cosi De Angelis intervistato da AGI).

Cattivo uso

Sprechiamo una quantità inenarrabile di acqua solo del 20% dei prelievi d’acqua (cioè dell’acqua che arriva al rubinetto) sappiamo dove sono e a cosa servono. Quest’acqua è controllata da Arera, Autorità di controllo di energia, gas, acqua che controlla le aziende idriche. Sull’80% dei prelievi idrici (pozzi privati, pompe di prelievo, etc) che ne rimane non c’è alcuna autorità di controllo, di regolazione. Circa il 51% viene utilizzato in agricoltura, dove se ne spreca almeno la metà con l’irrigazione a pioggia, e poi c’è un 25% di acqua prelevata per usi industriali.

Sappiamo che nei 600mila km di rete idrica italiana noi perdiamo per strada il 42% di acqua: uno scandalo, la più alta percentuale mai esistita.

Siamo l’unico paese europeo che con l’acqua potabile ci lava i piazzali, gli automezzi, raffredda gli impianti produttivi, quando potrebbe esser fatto con il riuso delle acque di depurazione, di riciclo. «Noi abbiamo ottimi depuratori da cui fuoriescono più o meno 9 miliardi di metri cubi acqua ogni anno, anche di grande qualità, trattata, depurata, e la ributtiamo a mare» (Cosi De Angelis intervistato da AGI), l’unico paese europeo che non riusa l’acqua di depurazione e da giugno del prossimo anno l’Europa ci sanzionerà anche per questo motivo.

Abbiamo un ritardo pazzesco nelle infrastrutture idriche dell’acqua che va al rubinetto perché con la legge Galli tutto è delegato alla bolletta e avendo noi la bolletta più bassa d’Europa, con quei proventi non ci si possono aspettare chissà quali riparazioni. L’acqua non è più nei bilanci dei Comuni, delle Regioni. A conclusione di questo stato paradossale il Pnrr: su quasi 200 miliardi, all’acqua vanno il 2% delle risorse. Ad oggi  mancano almeno 2.000 piccoli e medi invasi ma c’è il piano dei Consorzi di bonifica che ne ha 400 pronti e progettati solo da sbloccare.

Abbiamo avuto due grandi siccità, nel 2003 e nel 2017, ma come accade in tutte le cose, passata l’emergenza ce ne dimentichiamo, rimuoviamo tutto perché la nostra indole è dimenticare. È necessario, più che mai, lanciare un piano con risorse adeguate da qui ai prossimi trent’anni: un piano di risparmio idrico per l’agricoltura e portare acqua «in tutte le fasce costiere dove il cuneo salineo sta penetrando per 15, 20 chilometri nell’entroterra. Il Piave, fiume Sacro alla Patria della Prima Guerra Mondiale, che d’improvviso tracimò sbarrando la strada e inghiottendo il nemico che lo stava attraversando, “il Piave mormorò…”, per 13 km è salato». Il mare avanza. Man mano che si riducono le falde dolci costiere, perché s’irriga e  dunque si svuotano, quelle si riempiono con l’acqua salmastra del mare che sale. «Lacqua va portata lì, altrimenti quelle aree si desertificano. Già un 20% di fascia costiera è desertificato e lagricoltura non può più esser praticata» (Cosi De Angelis intervistato da AGI).

Abbiamo una tale quantità di acqua che bisognerebbe evitare di ripetere la tiritera dell’Italia assetata, come facciamo durante ogni periodo di siccità, bisognerebbe avere il coraggio di ammettere che ogni nostra crisi idrica, non è solo crisi di materia prima, ma è soprattutto crisi di impianti e reti adeguate per la captazione, l’immagazzinamento, il trasporto, la distribuzione, la depurazione, il riuso: «È l’assenza e la carenza di infrastrutture idriche – dagli invasi alle interconnessioni tra acquedotti e invasi, dalla quantità delle reti di trasporto ai depuratori – il nostro clamoroso autogol, il gap che consolida il divario territoriale, da recuperare al più resto per affrontare le sfide dei cambiamenti climatici» (Cosi De Angelis intervistato da AGI).

E’ vero che pochissimi paesi possono vantare una varietà di acque come l’Italia eppure di acqua ne sprechiamo davvero troppa, non abbiamo le infrastrutture adeguate sia per risparmiare sia per riusare l’acqua in modo adeguato. Non è siccità è male gestione decennale che provoca la siccità, almeno in Italia.

di Michela Di Gaspare

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