Le Microplastiche
Ecologia
Il killer invisibile
Uno dei problemi di maggior peso specifico, per la salute ambientale, è la riduzione dell’uso delle plastiche ed il loro smaltimento. Complice il fatto, che le alternative economiche alla plastica sono poche, il suo l’utilizzo sembra ancora essere indispensabile nella quotidianità delle persone soprattutto quelle dei paesi poveri.
Circa 60 milioni di tonnellate di plastica vengono prodotte nel mondo in un anno e di queste, quasi la metà divengono rifiuti. Nel nostro paese, di 4 milioni di tonnellate di plastica prodotte, circa 0,5 t si trasformeranno in rifiuti non smaltiti né riutilizzati. Aggiungendo inoltre che solo il 6% della plastica prodotta viene riciclata, siamo ben lontani dal poter attuare una rivoluzione ambientale.
La plastica: un pericolo per gli ecosistemi
La plastica è un polimero sintetico che sottoposto a determinati processi chimici, come la dissoluzione in soluzione acquosa, l’esposizione ai raggi ultravioletti del sole, l’effetto di microbi e batteri o per le alte temperature, si degrada in particelle più piccole, la cui grandezza va dall’ordine dei millimetri ai micrometri, unità di misura quest’ultima da cui questo sottoprodotto prende il nome di “microplastica”.
Se la plastica, visibile e tangibile viene percepita da tutti un problema, risulta esserlo maggiormente quella non visibile: la microplastica, vero macroproblema di terre e mari.
La microplastica, una volta finita in mare, viene ingerita dalla fauna marina, provocando danni genetici, alterazioni della catena alimentare e un conseguente spostamento dell’equilibrio nell’ecosistema marino. Secondo l’Ispra (Istituto superiore per la ricerca e lo sviluppo ambientale) circa il 15-20% delle specie marine che finiscono nei nostri piatti hanno bioaccumulato microplastiche.
Le microplastiche non provengono solamente dal mondo marino, ma queste particelle le ritroviamo nella degradazione di altri materiali polimerici, come, ad esempio, detergenti, cosmetici, fibre tessili, dentifrici e pneumatici.
Prendendo in esempio proprio quest’ultima, sappiamo che la degradazione dei pneumatici sull’asfalto, provoca il rilascio di microplastiche che, trasportate dal vento, finiscono nei campi e negli allevamenti, ragion per cui questo materiale è stato riscontrato anche nelle verdure e nelle carni. Inoltre negli allevamenti, la dieta degli animali comprende anche farine di molluschi e pesci, i quali portano un bioaccumulo di microplastiche anche negli animali terrestri.
Secondo diversi studi effettuati si stima che una persona potrebbe assimilare, ogni anno, tra i 2 ai 5 grammi di plastica nel proprio organismo.
E’ un pericolo?
Paradossalmente l’assimilazione di plastica nell’organismo è il pericolo minore, poiché come riscontrato dalle ricerche di varie università nel mondo, le microplastiche svolgono un ruolo ancora più pericoloso dato del fatto che questi polimeri legano chimicamente sostanze tossiche trasportandole e veicolandole negli organismi. Così, sostanze come stirene, metalli pesanti (piombo e mercurio), ftalati, bisfenolo A (BPA), policlorobifenili (PCB) e idrocarburi policiclici aromatici (IPA) finiscono in circolo negli organismi che assimilano direttamente o indirettamente microplastica. Tali inquinanti, tossici e cancerogeni, una volta entrati in circolo nell’organismo, possono interferire con il sistema endocrino umano fino a produrre alterazione genetiche, come appunto cancerogenesi o teratogenesi (danni genetici al sistema riproduttivo o direttamente al feto nel caso di gravidanza).
Come se non bastassero i danni endogeni diretti, bisogna considerare i processi chimico-fisici derivanti dalla dispersione del materiale non assimilato nell’ambiente: depositandosi sui fondali marini, la microplastica produce materiali organici potenzialmente pericolosi come benzene e toluene contribuendo a un ulteriore danno all’ecosistema marino e alle conseguenze che questo porta al pianeta e a chi lo abita.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) ogni chilometro quadrato di oceano contiene in media 63.320 particelle di microplastica e il nostro Mar Mediterraneo risulta essere uno dei mari più inquinati al mondo, poiché circa il 7% della microplastica a livello globale si concentra in queste acque.
La ricerca scientifica
La scienza ha ormai da tempo centralizzato il problema della presenza della plastica nell’ambiente ed ha avviato una serie di studi e ricerche con lo scopo di neutralizzare – o perlomeno limitare – i danni che questo materiale porta al pianeta e all’uomo.
Le proposte che principalmente stanno trovando riscontro sono lo sfruttamento di determinate alghe marine le cui membrane cellulari sono in grado di assorbire o adsorbire le microplastiche, a seconda delle dimensioni e della carica ionica di quest’ultime, permettendo di diminuire la concentrazione del polimero nelle acque marine e di conseguenze il loro bioaccumulo nella catena trofica.
Un’altra soluzione è l’installazione di specifici bioreattori a membrana negli impianti di trattamento delle acque reflue, che vanno anch’essi ad assorbire le microplastiche presenti nelle acque di scarico. Dai test effettuati sembra che questo tipo di trattamento riesca ad eliminare fino al 99,9% di particelle per litro, di qualsiasi dimensione esse siano.
Insieme ad altri esperimenti basati sulla complessazione di microplastiche attraverso coaguli di Sali di alluminio e ferro, oppure lo sfruttamento di microorganismi e batteri marini per la biotrasformazione dei polimeri sintetici, la ricerca scientifica continua a monitorare metodi sempre più efficaci per l’eliminazione di questa che ormai è a tutti gli effetti una piaga che pesa sul nostro ecosistema.
Fortunatamente, oltre al progredire della tecnologia, si stanno promuovendo delle soluzioni di prevenzione e non solo per questo problema: l’invito alla pulizia delle spiagge, ad esempio, dove gruppi indipendenti o mossi da organizzazioni si adoperano per rendere le coste e le spiagge libere dalla plastica in modo da evitare che le onde e i raggi solari portino le microplastiche in giro per il pianeta.
Inoltre si stanno testando degli impianti, installati in pieno oceano, che raccolgono e smaltiscono le isole di plastica che nuotano indisturbate nei nostri mari.
Ultimo, ma non ultimo, si cerca di spingere i vari governi ad effettuare dei veri e propri divieti di produzione e commercializzazione di materiali plastici che determinino la dispersione di microplastiche nell’ambiente.
La politica ecologica
L’Unione Europea ha preso diverse strade per fronteggiare quello che ormai sta diventando un grosso problema per l’intero ecosistema: dai divieti all’uso di plastica usa e getta al miglioramento del circuito del riciclo.
A settembre 2018 gli eurodeputati hanno approvato una strategia che porta all’aumento dei tassi di riciclaggio in tutta l’Unione. Inoltre, entro il 2020, i paesi membri avevano il compito di vietare l’utilizzo intenzionale di microplastiche nel settore cosmetico e nei detergenti, oltre che il compito di approvare misure che limitassero il rilascio di microplastiche da materiale sintetico come tessuti e pneumatici, oltre che da pitture e mozziconi di sigarette.
Sempre nel 2018 il Parlamento Europeo, ha varato il divieto dell’utilizzo di tutti quei materiali plastici usa e getta, principali responsabili degli accumuli selvaggi che sono agli occhi di tutti. Ma, come sempre, almeno nel nostro paese sembra che alcune normative tardino ad essere recepite come mostrano le immagini e i video che riguardano i nostri mari e le nostre spiagge.
Scienza, tecnologia e buon senso (anche politico) si muovono in sincrono per debellare quello che diventa un problema sempre più grande giorno dopo giorno, forse l’unica grande assente rimane, la responsabilità civile, fatta di piccole ma importanti azioni quotidiane, dei singoli cittadini che faticano a partecipare alla rivoluzione culturale, in senso ecologico, che possa permetterci di lasciare ai nostri figli e nipoti un pianeta più abitabile.
di Daniele Garritano