Rivolta dei trattori: come è andata a finire?
Le mobilitazioni dei mesi scorsi hanno sortito molti degli effetti sperati dagli agricoltori ma raramente si è trattato di risultati coincidenti con l’interesse collettivo. Hanno prevalso le rivendicazioni corporative contro le politiche comunitarie di salvaguardia dell’ambiente. È troppo facile cercare capri espiatori nell’UE, occorre passare dalla rumorosa protesta a una proposta costruttiva
A gennaio erano in centinaia, a bordo dei loro trattori, a bloccare strade e caselli autostradali dalle Alpi al Lilibeo, sulla scia delle proteste cominciate in Germania e diffusesi a macchia d’olio in Francia, Belgio, Olanda, Spagna, Portogallo. Puntavano su Sanremo, per lanciare il loro grido di dolore dalla principale vetrina mediatica nazionale. Il colpaccio festivaliero non riuscì e sparirono rapidamente dai radar televisivi, non senza aver incassato, però, un discreto dividendo. La rivolta dei trattori, infatti, a dispetto di una certa narrazione giornalistica, ha sortito molti degli effetti sperati dai suoi promotori. E non sempre, anzi raramente, si è trattato di risultati coincidenti con l’interesse collettivo. Il malcontento è stato cavalcato da gruppi di attivisti e piccoli comitati che si sono mossi in maniera autonoma, con rivendicazioni e slogan rozzi ma efficaci, per lo più senza la benedizione delle associazioni di categoria come la Coldiretti, formulando richieste a volte precise e condivisibili, più spesso generiche o pretestuose, in una polifonia di voci che ha reso difficilmente decifrabile un panorama già di per sé complesso come quello dell’agricoltura. Che, ad onta della tanto decantata terziarizzazione dell’economia post-industriale, conserva ancora un’incidenza significativa sui processi decisionali in sede europea. Basti pensare all’importanza della PAC, la Politica Agricola Comune, l’insieme delle norme che dal 1962 regolano l’erogazione dei fondi europei in uno dei settori più sussidiati, che oggi vale un terzo del bilancio dell’UE: per il periodo 2021-2027 si tratta di 386 miliardi, 270 dei quali destinati al sostegno al reddito degli agricoltori. Di questi fondi, circa 37 miliardi vanno all’Italia. Gli obiettivi fondamentali sono garantire un reddito equo agli imprenditori agricoli, tutelare l’ambiente vulnerato dai cambiamenti climatici, proteggere la qualità dell’alimentazione e la salute dei consumatori. La possibilità di attingere a questo fiume di denaro è subordinata al rispetto di alcune condizionalità, soprattutto sul fronte dell’uso di fitofarmaci e dei limiti di utilizzabilità del suolo. Mentre alcune proteste erano legate alle specificità legislative e fiscali dei singoli Paesi, un obiettivo comune e condiviso dagli agricoltori di tutto il Vecchio Continente è la critica radicale (finalizzata alla diluizione, se non allo svuotamento) del Green Deal, il pacchetto di soluzioni ambientali individuate da Bruxelles per tagliare del 55%, entro….
di Francesco Moroni
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