Sicurezza e nazionalismo

Sicurezza e nazionalismo

Si fa sempre tutto in nome della sicurezza ma prima bisognerebbe mettersi d’accordo sul concetto di “sicurezza”. Facciamo finta di non saperlo. Il giurista Maurizio Cinelli definisce il concetto di “sicurezza sociale” come «tutte le attività proprie della politica sociale: dalla tutela dell’occupazione alla tutela del reddito, dalla tutela della salute a quella dell’ambiente e dell’edilizia, dall’istruzione alla giustizia, alla difesa, alla cultura, alla tutela del tempo libero e così via». Una definizione ampia, che racchiude tutti gli aspetti fondamentali del vivere sociale e, sostanzialmente, democratico. La storia (passata e presente) ci insegna che tuttavia non c’è una visione univoca di tale concetto. Lo “scudo” della sicurezza, ormai, è soprattutto uno strumento “politico”, che cela in sé una natura repressiva e populista, di “propaganda”; di fatto, è diventata mera conservazione di un potere che di democratico rischia di avere solo la facciata. Sono in molti a sostenerlo: in Italia (e non solo) stiamo assistendo gradualmente all’avvento di una democratura, o di una democrazia illiberale, come la si vuole chiamare. Il disegno di legge elaborato dal governo Meloni è un ulteriore segnale di questo pericoloso passaggio politico-sociale. Cosa possiamo intravedere dietro questo DDL? Sono riconoscibilissimi alcuni aspetti che ci riportano indietro di decenni. Viene in mente la scalata politica del generale Videla prima del golpe in Argentina negli anni Settanta, che si basò su due passaggi-chiave: individuazione degli “avversari politici”; norme ad hoc per reprimerli. Tuttavia, nel 2024, non ci aspettiamo di trovare i cadaveri degli oppositori politici per le strade di periferia, né di vivere il dramma dei desaparecidos. Ma una cosa possiamo aspettarcela già da oggi: se il dissenso non si spegnerà (e dobbiamo augurarcelo), le carceri si riempiranno di dissenzienti. Perché questo disegno di legge suona proprio così, è un avvertimento, un monito piuttosto minaccioso. A osservarlo bene, questo DDL, risulta molto agevole individuare gli “avversari” (politici e non) di questo governo. Proviamo a metterli in fila: c’è il manifestante-dissenziente, sia questo uno studente, un ecologista, un lavoratore in sciopero o un detenuto; c’è il migrante, recluso o a piede libero (ma senza smartphone); c’è il borseggiatore, possibilmente rom o sudamericano (si può già parlare di “effetto Cicalone”?); c’è l’occupante di stabili, dal più comune “abusivo” agli odiatissimi antagonisti dei centri sociali; c’è il terrorista, con tanto di fiancheggiatori al seguito, dai contorni molto vaghi; ci sono, infine, i produttori e consumatori di cannabis, anche se di cannabis light. Sarebbero questi, stando alle proposte avanzate, i profili che costituiscono un “pericolo sociale” incombente per la nostra Nazione. Non v’è traccia, invece, di misure volte a contrastare gli incidenti e i morti sul lavoro, di proposte relative alla sicurezza ambientale, oppure di soluzioni efficaci per porre rimedio alle sempre più tragiche condizioni della popolazione detenuta; neanche la lotta alla criminalità organizzata sembra rientrare nelle priorità del governo, anzi. L’ulteriore svolta proibizionista nei confronti della cannabis (l’ipotesi della legalizzazione delle droghe leggere, sul modello spagnolo o tedesco, si allontana sempre di più) non farà che ampliare i profitti delle mafie e del loro mercato nero relativo agli stupefacenti; stesso discorso per le SIM vietate ai migranti “irregolari”, che andranno inevitabilmente a procacciarsele altrove (indovinate da chi?). Il governo, in questo disegno di legge, non solo preferisce concentrarsi sulla repressione della criminalità “comune” (più funzionale a livello “me­diatico”), ma sembra “indirettamente” concedere margine al gigantesco giro d’affari delle mafie. Il manifestante, l’antagonista, il migrante, il drogato, il borseggiatore… così elencati, questi sono gli autentici “spauracchi” delle destre e, almeno in questo, non ci sono grosse novità. A preoccupare è la potenziale svolta normativa. «È peggio del Codice Rocco – hanno commentato le due segretarie confederali della Cgil Daniela Barbaresi e Lara Ghiglione – il disegno di legge è un condensato di propaganda e populismo istituzionale. Un’ulteriore conferma di quanto questo governo, tutto, com­pattamente, pensa in tema di sicurezza, declinato solo come azione repressiva dei conflitti sociali e come politica punitiva, di giustizia e carcere». Non vi è solo la “creazione” di nuovi reati (peraltro già disciplinati penalmente) ma è l’inasprimento delle sanzioni e delle pene detentive a destare grande preoccupazione. Come ha ribadito Roberto Saviano su Fanpage, maggiori pene significa allargare «le forbici dell’arbitrio», quindi maggiore repressione. Anche se giuristi e esperti rassicurano che la maggior parte di questi nuovi provvedimenti cadranno uno ad uno per la loro evidente incostituzionalità, ci vorrà del tempo: intanto chi continuerà a manifestare il proprio dissenso nei confronti di questo governo rischierà con più facilità di andare in galera, con pene fin ad oggi impensabili perfino all’opinione pubblica più conservatrice. Nella sostanza, riprendendo Saviano, «farlo per motivi politici sarà un’aggravante». Una svolta, viene da dire, orbaniana, un’etichetta molto meno scomoda e compromettente di altre; d’altronde è chiaro da diverso tempo che sia questo il modello – quello ungherese – perseguito con tenacia dal governo Meloni. A proposito della premier. Mentre il clima nel nordest europeo si surriscalda e gli Stati membri proseguono la loro corsa al riarmo, nel mese scorso Giorgia Meloni è volata a New York a ribadire il “rafforzato” ruolo dell’Italia nello scacchiere internazionale. Le tre con­ferenze tenute al Pa­laz­zo di Vetro dell’ONU, all’Atlantic Council e al Vertice della Coalizione Globale, sono state senza dubbio un gran successo, personale e mediatico. Mentre in politica interna infligge le prime ferite “liberticide” al nostro regime democratico, in mondo-visione la Meloni ha parlato di difesa delle democrazie contro la «legge del più forte» avanzata dalle autocrazie. Tuttavia, sono molti i messaggi lanciati “tra le righe” dalla leader di FdI. Ed è proprio nella conferenza tenuta presso l’Atlantic Council, dopo essere stata premiata da Elon Musk, che la Meloni ha lasciato intravedere qual è la vera “rotta” intrapresa dal suo governo. Dopo aver rifiutato l’etichetta di nuova leader di un rinato nazionalismo occidentale (perché, a suo dire, «richiama dottrine di aggressione e autoritarismo»), ha incentrato gran parte del suo discorso sui concetti di “Patriottismo” e “Nazione” e su un rilancio dei valori occidentali; ha individuato anche l’area del problema, quel c.d. Sud Globale che si sta gradualmente allontanando da un Occidente sempre più autoreferenziale e poco credibile. Un Sud Globale, commentiamo noi, che guarda sempre più a Oriente… che poi è questo il vero problema, la vera crisi che può accendere la miccia a livello internazionale. In conclusione, riteniamo che una visione del genere, del “noi e loro”, annessa a una corsa al riarmo ormai fuori controllo e a un rinnovato clima internazionale da Guerra Fredda, non gioverà a un futuro di pace tra le Nazioni, tantomeno a una immediata ripresa della diplomazia e della cooperazione internazionale. Sembra piuttosto che i principali protagonisti della contesa (e noi tra loro) stiano continuando a prendere posizione in questo scacchiere sempre più precario, traballante tanto quanto il nostro sistema democratico. Cosa succederà dopo?

Il Direttore Editoriale
Matteo Picconi

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